lezioni da coronavirus

Atenei a distanza, un orgoglio italiano

di Paola Severino*

(Rido - stock.adobe.com)

3' di lettura

Come tutti i lunedì mattina, ho iniziato a pianificare le mie lezioni e le altre attività universitarie: gli insegnamenti di diritto penale e di cybersecurity, il master di diritto penale d’impresa, quello di compliance e prevenzione della corruzione, la preparazione delle slide e il coordinamento dei lavori collettanei che stiamo elaborando con gli assistenti e i colleghi della cattedra.

Nel frattempo, ho continuato a ricevere informazioni da parte di studenti italiani all’estero, che tentavano, con le crescenti difficoltà del momento, di rientrare in Italia, mentre molte delle prestigiose Università straniere che stavano frequentando chiudevano i battenti: in tanti casi, senza neppure poter organizzare corsi di insegnamento a distanza. A estremizzare la situazione, si è poi scatenata la polemica tra il primo ministro del Regno Unito Boris Johnson e le Università britanniche che hanno deciso di sospendere corsi ed esami, tacciate dal governo di non essersi attenute alle indicazioni medico-scientifiche, secondo le quali non vi sarebbe «motivo» – afferma testualmente il segretario all’Istruzione Gavin Williamson – «per chiudere gli istituti in questo momento».

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L’analisi di questa drammatica e confusa situazione non può che ulteriormente rafforzare il senso di orgoglio per un’Italia che ce la sta mettendo tutta pur di non fermarsi e per un sistema universitario che ancora una volta, nonostante quel che narrano alcune classifiche internazionali non del tutto condivisibili, si colloca tra i primi al mondo per capacità didattiche.

Grazie ai grandi sforzi iniziati negli scorsi mesi e all’intensificarsi di essi ai primi sintomi dell’epidemia, la nostra Università, seguita da alcune altre, è riuscita ad assicurare una assoluta continuità didattica di tipo interattivo per gli studenti di tutti i Dipartimenti e per gli iscritti alla grandissima maggioranza dei Master post lauream. Grazie a una piattaforma e a un progetto telematico avanzato, non solo abbiamo la possibilità di organizzare insegnamenti da remoto, ma anche di interloquire, durante la lezione, con gli assistenti e gli studenti collegati da casa tramite i loro computer. Una emozione forte, quella di vedere apparire sullo schermo quelle finestrelle che si aprono, segnalando che mano a mano un altro studente si è collegato, fino a raggiungere numeri di partecipanti inimmaginabili. Con la sorpresa di apprendere, poi, che a queste lezioni assistono silenziosamente anche alcuni familiari dei nostri allievi, curiosi di vedere come siamo, che cosa diciamo, come ci comportiamo di fronte a una emergenza così drammatica. In altri termini, abbiamo inaugurato un nuovo e ulteriore modo per sentirci vicini, pur dovendo restare lontani, così come accade per gli appuntamenti via web, che vedono tanti cittadini affacciati alle finestre cantare e suonare l’Inno d’Italia, davanti a coloratissime scritte «Tutto andrà bene», sovrastate da un arcobaleno. Bellissimi flashmob che stanno facendo il giro del mondo, mostrando un Paese molto più forte nelle avversità di quanto non riesca a comunicare in tempi normali. E se il senso profondo dell’insegnare sta nel concetto di “lasciare il segno”, credo fermamente che queste lezioni, impartite in momenti così tragici, lasceranno nei nostri giovani il segno di una condivisione di valori che va ben oltre il semplice aspetto dogmatico.

Che dire poi delle sedute di laurea online che ci vedono proclamare “Dottore” a distanza giovani commossi, noi in toga e loro con l’abito “buono”, quello delle feste importanti, come si deve fare per un appuntamento atteso da anni, dopo sacrifici che coinvolgono, più spesso di quanto non pensiamo, famiglie che hanno risparmiato, investendo sulla crescita dei propri figli e credendo nel valore della cultura. Quel che a noi professori manca di più è la stretta di mano che accompagna sempre il momento finale della cerimonia: stringere mani grate, mani emozionate, mani di genitori con gli occhi lucidi, mani di nonni rese rugose dall’età e a volte consumate dal lavoro manuale che ha dato nuove opportunità a figli e nipoti, rappresenta il segno tangibile del piccolo contributo che ciascuno di noi cerca di dare alla crescita del proprio Paese. Per gli studenti, ancor più, la stretta di mano rappresenta simbolicamente il momento di ingresso in una nuova comunità: quella dei professionisti che saranno protagonisti di questa crescita e che sapranno e dovranno superare le drammatiche conseguenze economiche e sociali di questa inimmaginabile pandemia.

Ecco, in sintesi, come una enorme tragedia per l’umanità possa però creare nuove opportunità di insegnamento, stimolare un più ampio atteggiamento di condivisione nell’apprendimento e dare un significato ancor più profondo al senso del dovere dei nostri ragazzi. Quanto alle strette di mano, ci sarà tempo e modo di scambiarcele calorosamente, in una futura cerimonia di graduation day in cui tutti lanceremo i cappelli e ci abbracceremo ancor più commossi del solito, perché allora sapremo che «Tutto è andato bene».

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